E poi se ne tornano alla loro tenda...

E poi se ne tornano alla loro tenda.

 

Come sempre succede, a vivere i Saharawi impariamo sempre qualcosa.

 

Basta osservarli per imparare, basta osservarli per ricordarci come dovremmo essere in molte situazioni.

“Qui da voi ci si saluta con un semplice ‘Ciao’. Di corsa. Nessuno che chieda mai ‘Come stai? Come sta la tua famiglia?’Noi lo facciamo sempre!”

 

 

Eh.

 

 

“Ho visto l’uomo del bar in difficoltà e ho pensato di dargli una mano e ho riunito tutti i tavoli e le sedie che erano fuori. Era tardi. Quel signore aveva bisogno di una mano e glie l’ho data. Cosa c’è di strano?”

 

 

Eh..

 

 

Gli abbiamo fatto toccare con mano un mondo diverso dal loro. Il nostro è un mondo senza stelle ma pieno di colori e di acqua. 

 

 

Hanno mangiato come noi, si sono immersi nei nostri ritmi frenetici, hanno respirato le nostre vite come se le conoscessero da sempre. Hanno fatto tutto ciò in punta di piedi. Senza chiedere nulla ma sempre con un “grazie” e un “Shukran” da restituire.

 

 

E attorno a noi ha preso forma un mondo di persone pronte ad aiutarci. Tutti a stringersi attorno a “quei tre del deserto”. 

 

Un primario e due chirurghi che ci hanno travolto con l’umanità di chi si perde a salvare le vite dei più piccoli. Infermiere con le lacrime e la lettera di dimissione in mano. 

 

 

Per ogni problema una persona differente con una soluzione.
Per ogni richiesta molte mani tese.
Per ogni incontro tante carezze.

 

Ieri sera ci siamo regalati un the. 

 

Tre giri diversi: il primo amaro come la vita, il secondo dolce come l’amore e il terzo soave come la morte. E già al primo bicchierino ci ha assalito la malinconia. Abbiamo pianto. C’è chi lo ha fatto vedere e chi lo ha fatto di nascosto al buio e sotto le coperte. Siamo felici che tornino in Africa e loro sono felici di tornare alla loro tenda, la loro Khaima.

 

Lì ritroveranno quel calore che ha colori diversi dal calore nostro e riabbracceranno la loro famiglia che è il bene più prezioso che hanno.

 

“Voi siete la mia famiglia italiana”, così ci ha detto Lehdia. Una famiglia a cinquemila km. Una famiglia piena di noi!

 

Grazie a tutti!